Isis, Libia e non solo. L’Italia è già in guerra


Intervista ad Antonio Mazzeo, giornalista impegnato sui temi della pace e della militarizzazione. Dalla questione Sigonella alla lotta contro il Muos di Niscemi emerge una Sicilia “dependance” degli Stati Uniti e già in guerra “per riprenderci ciò che era nostro ai tempi di Gheddafi”

L'Italia è pronta. La guerra in Libia sembra essere sempre più alle porte, e non solo per la vicinanza geografica al Paese nordafricano. Sigonella e Trapani Birgi sono "a disposizione". In qualsiasi momento da queste "basi" possono partire raid per colpire le postazioni del Califfato conquistate negli ultimi mesi in Libia. Questa la sensazione comune. Ma la realtà è ben diversa. L'Italia "è già in guerra". Lo siamo "almeno dal 2011", da quando si è messo fine militarmente alla dittatura di Gheddafi. Una dittatura della quale, però, "eravamo i primi partner economici". 

E' Antonio Mazzeo, giornalista da sempre impegnato sui temi della pace e della militarizzazione, a fare con noi il punto della situazione su cosa sta accadendo in queste settimane in Sicilia, una terra sempre più "in mano agli Stati Uniti". C'è Sigonella. C'è Trapani Birgi. C'è, ovviamente, la questione del Muos di Niscemi. E poco importa se a sventolare, di volta in volta, è la bandiera americana o quella Nato. Non si tratta di "guerra o pace", si tratta "di questioni prima economiche e solo in seguito geostrategiche".

Cosa sta accadendo in queste ore in Sicilia?

Stiamo assistendo all'apice di un'escalation progressiva iniziata nel 2011: da allora la situazione in Libia - e non solo - sta agitando il sonno dei siciliani. Da Sigonella partono di continuo blitz delle forze armate statunitensi, penso a quanto avvenuto in Libia o a seguito dei sequestri in Algeria. Sigonella in questi anni ha funzionato ininterrottamente: di fatto è una depandance degli Stati Uniti in Italia. Dalla Sicilia sono partiti veri e propri commando intervenuti in Nord Africa o in Niger e in Mali. La questione dei droni di cui tanto si parla in questi giorni è, in un certo senso, secondaria: i droni "killer" degli Stati Uniti decollano dalla Sicilia già da molto tempo. E' dal 2011 a oggi che qui si respira aria di guerra. E ora, con l'esplosione del conflitto in Siria e con gli interventi in Libia, la situazione è destinata a peggiorare. Per capirci: Sigonella è già un vero e proprio "hub" impiegato dagli Stati Uniti per la movimentazione di uomini, mezzi e sistemi d'armi come i droni.

Oltre alla questione Sigonella e alla guerra in Libia, in Sicilia è sempre aperta la partita del Muos di Niscemi. Cosa sta accadendo sul fronte "radar difensivo"?

Negli ultimi mesi, dopo i successi del movimento No Muos sia in ambito giudiziario che in sede amministrativa, è partita una controffensiva mediatica "pro Muos" a 360 gradi. Mi riferisco all'opposizione al Tar e ai tentativi di dissequestrare il Muos, ovviamente, ma anche alla pressione mediatica, enorme, messa in campo quotidianamente dai giornali locali. Si continua a sostenere la tesi che "sì, forse il Muos fa male, ma è più pericoloso il terrorismo internazionale", che "il Muos serve per difenderci", ma anche dal punto di vista militare questa è una chiara mistificazione. Ai mezzi Nato, agli Stati Uniti, serve una piattaforma per pianificare i raid: devono bombardare, distruggere le infrastrutture (anche) civili, e poi dar vita alle operazioni di terra. E' il classico schema d'attacco messo in campo in questi casi. Nello specifico, poi, parlare oggi di Muos è solo un modo per portare acqua al proprio mulino: il "radar" entrerebbe in funzione non prima di due, tre anni, quindi non è strategico per la situazione libica. Ma oggi la questione Libia e la paura dell'Isis vengono utilizzate per imporre il Muos anche in violazione delle leggi.

E lo Stato italiano come si sta comportando? Sta facendo gli interessi dei siciliani?

Lo Stato italiano sta curando sempre gli stessi interessi, quelli di due, tre grandi gruppi industriali a capitale pubblico che operano in Libia, in Egitto o in Iraq. E nello stesso modo, dicendo solo "signorsì", si comporta con gli Stati Uniti, Paese strategico dal punto di vista del complesso militare italiano. Un esempio per tutti è quello di Finmeccanica, uno dei primi otto complessi industriali militari che negli ultimi anni è diventato partner di aziende come la Locked Martin per gli F35. Un altro esempio è la diga di Mosul, i cui lavori di riparazione e manutenzione sono stati appaltati al gruppo Trevi di Cesena. Parliamo di almeno due miliardi di dollari. Lì il governo italiano ha inviato un folto contingente militare violando la costituzione e sovraesponendo i soldati italiani ad alti rischi per difendere degli interessi in primis economici: Mosul è a pochi chilometri dal fronte iracheno più caldo nella guerra col Califfato. Ora è scoppiata la vicenda libica in un Paese che ci vedeva in prima fila al tempo di Gheddafi e dove oggi siamo stati soppiantati da Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Il nostro "mettere a disposizione" Sigonella è solo un modo per provare a riprendere ciò che avevamo in mano ai tempi di Gheddafi. Un altro caso riguarda riguarda gli scali di Pantelleria e Catania-Fontanarossa, messi a disposizione lo scorso anno per i "voli-spia" al confine tra Tunisia e Algeria formalmente gestiti da una società privata "contrattata" dal Dipartimento della Difesa.

Dalle tue parole emerge un dato: l'Italia non è pronta alla guerra; l'Italia è già in guerra.

L'Italia è senza alcun dubbio già in guerra. L'Italia produce le bombe. L'Italia arma i Paesi in conflitto, compresa quella bandiera nera "in franchising" chiamata Isis. Ma ciò che è peggio, l'Italia non alza la voce con Paesi che torturano e uccidono cittadini italiani per non rompere rapporti economici strategici. 
Intervista a cura di Daniele Nalbone pubblicata in Today, il 29 febbraio 2016, http://www.today.it/mondo/sigonella-italia-guerra-libia-isis.html

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