Sicilia-Usa: storia di una relazione armata


Dall’Iraq alla Siria, passando per la Libia, fino ad arrivare in Mali, la Sicilia è diventata, ormai da anni, il principale avamposto degli Stati Uniti nella 'Guerra al Terrorismo Globale'. Basi militari, ordigni nucleari, droni, avanzatissimi sistemi radar e, recentemente, anche il MUOS (Mobile User Objective System) di Niscemi, hanno, infatti, trasformato l’Isola in una vera e propria 'portaerei' statunitense, capace di proiettare la potenza di fuoco di Washington in tutto il Medioriente ed Africa. Nella sola stazione aeronavale di Sigonella, pochi chilometri da Catania, il Pentagono ha speso a partire dal 2001 oltre 300 milioni di euro per potenziare la base, trasformando lo scalo siciliano non solo nella seconda più trafficata stazione aeronavale in Europa, ma anche nel principale Comando operativo (su scala planetaria) dei Droni Global Hawk, da cui oggi partono tutte le missioni di ricognizione e attacco contro gli estremisti islamici in nord Africa e nella zona sub-sahariana. A Niscemi, 72 chilometri a sud di Sigonella, con le sue 41 antenne radio a bassa frequenza per la comunicazione navale e sottomarina, si trova, invece, la più grande stazione di telecomunicazioni radio della Marina militare statunitense che, con l’ulteriore installazione di tre grandi antenne paraboliche dal diametro di 18,4 metri e di due trasmettitori elicoidali di 149 metri d’altezza, è diventata anche una delle quattro stazioni terrestri del Sistema Mobile User Objective System.
Ma come si è modificato nel corso del tempo il ruolo strategico della Sicilia? Quali sono le conseguenze principali di tale processi di militarizzazione? Potrebbero esserci delle ripercussioni per la popolazione e per il territorio in generale? Di tutto questo ne parliamo con Antonio Mazzeo, tra gli attivisti tra gli attivisti No MUOS e autore del libro il 'MUOStro di Niscemi. Per le guerre globali del XXI secolo', con cui approfondiremo il fenomeno di militarizzazione dell’isola vista dall'ottica dei movimenti che sono impegnati a contrastarla.
 
Come si è evoluta la presenza statunitense in Sicilia? C’è una data particolare da ricordare?
Io fisserei il momento chiave nel 1973, quando, durante la guerra dello Yom Kippur, la base di Sigonella è diventata una delle principali basi militari per il transito delle truppe statunitensi che andavano a sostenere l’intervento di Israele contro i paesi arabi. Infatti, da quel momento in poi, parallelamente alla contrapposizione Est-Ovest, assume sempre più rilevanza anche il cosiddetto “fianco Sud della NATO”, soprattutto alla luce della crescente competizione per il controllo delle risorse petrolifere in Medioriente e, successivamente, nel continente africano. Da allora, ed in particolare dall’inizio degli anni ottanta con la crisi libica, si è assistito ad una progressiva militarizzazione della Sicilia. In quegli anni, uno dei principali programmi nucleari statunitensi, viene localizzato in un ex base militare di Cosimo, in provincia di Ragusa, dove vengono installate 112 testate nucleari del sistema Cruise di missili a medio raggio. Con la guerra nei Balcani e la prima guerra del Golfo, ma soprattutto con la seconda campagna irachena del 2003, si assiste poi ad una repentina accelerazione nella militarizzazione della Sicilia e il conseguente ampliamento della basi statunitensi, in particolare quella di Sigonella.
Come e quanto è aumentata l’importanza delle basi siciliane per gli Stati Uniti a partire dal 2011, ossia dalla rivoluzioni popolari nel mondo arabo comunemente conosciute come 'Primavere arabe'?
In realtà, già prima del 2011 gli Stati Uniti avevano l’intenzione di creare un comando militare dedicato all’area africana e mediorientale. Nel 2008 nasce infatti AFRICOM, responsabile per le relazioni e le operazioni militari statunitensi che si svolgono in tutto il continente africano, con quartier generale in Germania e i vari sottocomandi localizzati in Italia: tra questi in particolare c’è quello dei Marines della squadra di Pronto intervento di stanza a Sigonella, pronti ad intervenire in qualsiasi momento ed in qualsiasi teatro operativo. Parallelamente, soprattutto dopo l’instabilità causata dalle primavere arabe, Washington ha deciso di utilizzare Sigonella anche come la capitale mondiale dei Droni, concentrando nella struttura buona parte della propria flotta di droni spia, ma anche dei cosiddetti “droni killer”, ossia droni armati di bombe. Gli stessi utilizzati in Libia contro Gheddafi, contro le organizzazioni islamico-militari che si muovono in tutto il Nordafrica, ma anche in Somalia contro gli Shabaab.
Parallelamente ai droni c’è anche il Sistema MUOS di Niscemi. Potrebbe approfondire la questione?
Ovviamente, in una logica di guerra globale e planetaria, in cui è fondamentale far viaggiare in tempi strettissimi una mole immensa di dati, le forze armate statunitensi hanno pensato di potenziare i propri sistemi di telecomunicazioni satellitare. In questo senso hanno deciso di costituire un progetto multimilionario denominato Muos (Mobile User Objective System), ossia un sistema capace di inserire in rete ed interconnettere gli utenti mobili a livello globale ed in tempo reale (dove per utenti intendo i cacciabombardieri, i sottomarini a propulsione nucleare, ma soprattutto la nuova generazione di armi First Strike come i droni). Il MUOS è organizzato con 5 satelliti geostazionari e 4 stazioni terrestri, divise a livello planetario, per poter coprire l’intero sistema di radio-telecomunicazione delle proprie Forze Armate. Inizialmente, le autorità statunitensi avevano deciso di localizzare il nuovo sistema a Sigonella ma, per problemi tecnici (questo sistema poteva disturbare le radiofrequenze degli aerei o provocare l’implosione dei sistemi missilistici e delle testate nucleari) decisero di trasferire il tutto a Niscemi, che già ospita la più grande stazione di telecomunicazioni radio della Marina militare americana, con il compito di inviare informazioni ai sottomarini nucleari schierati in tutto il mondo. Oltre all’installazione del MUOS, in tempi recentissimi, c’è stato anche un rafforzamento di tutti i sistemi radar sparsi in Sicilia e nelle isole minori. Si è assistito ad un enorme potenziamento della base NATO di Trapani, che è stata fondamentale nelle operazioni contro Gheddafi in Libia durante il 2011. Oltretutto, anche attraverso l’operazione Mare Nostrum, tutto l’assetto aeronavale italiano si è ulteriormente spostato verso il fianco sud, ampliando ulteriormente la militarizzazione della Sicilia.

Quali sono le principali conseguenze per il territorio e la popolazione siciliana?
La prima conseguenza è quella di proiettare sempre di più la Sicilia negli scacchieri di guerra planetari e farne, di fatto, la principale piattaforma di guerra e di attacco in tutta l’area Mediterranea, con il rischio di esporre il territorio siciliano a ritorsioni, anche militari. Bisogna infatti ricordare come le guerre si conducono ormai in maniera asimmetrica: oggi è molto più facile che qualsiasi organizzazione militare e terroristica possa attaccare facilmente le basi o i territori intorno alle installazioni militari. Questo sovraespone enormemente la popolazione siciliana a qualsiasi attacco terroristico ritorsivo. Anche sotto il punto di vista ambientale e sull’impatto del territorio il fenomeno di militarizzazione ha delle conseguenze devastanti. Penso a quello che è ormai è stato documentato, da numerosi scienziati e ricercatori, riguardo i fenomeni dell’elettromagnetismo, ma anche quel che riguarda la contaminazione dell’ambiente a seguito delle esercitazioni militari o dalle perdite dagli oleodotti (incidenti già documentati avvenuti a Sigonella e Niscemi). Anche a livello socio-economico ci sono delle conseguenze, in quanto si accelerano i processi di impoverimento dei territori, nonchè limitazioni enormi agli aeroporti civili e di conseguenza al turismo (l’aeroporto Fontanarossa di Catania subisce continue restrizioni a causa dell’attività della vicina base aeronautica di Sigonella). Vorrei anche sottolineare come la militarizzazione acceleri anche i processi di concentrazione e accumulazione criminale (ci sono state parecchie sentenze in cui si sono evidenziate connessioni mafiose di alcune aziende che operavano intorno e all’interno delle basi statunitensi).

La posizione del Governo italiano e delle Amministrazioni locali riguardo il processo di militarizzazione della Sicilia è stata sempre così 'accomodante' o è cambiato qualcosa negli ultimi tempi?
No, direi che non si è verificato nessun cambiamento durante questi decenni. Al contrario, la stessa progressività nei processi di militarizzazione dell’Isola, che aumentano giorno per giorno, dimostrano non solo che non c’è stato nessun atteggiamento avverso, ma al contrario, c’è stata la creazione, in termini sociologici, di una vera e propria borghesia-mafiosa-militare che ha tutti gli interessi a fare della Sicilia una zona franca dove, sia i Paesi Nato che quelli extra-Nato, siano sostanzialmente liberi di fare ciò che vogliono. Questo, di fatto, ha accelerato una serie di progetti devastanti dal punto di vista socio-economico, criminogeno ed ambientale, in cui la vittima principale rimane sempre la popolazione siciliana.
Intervista a cura di Nino Orto, pubblicata il 30 settembre 2014 in L'Indro,


Commenti

Post più popolari