Dalla militanza di base alle elezioni europee: la coerenza della lotta


Abbiamo intervistato Antonio Mazzeo, giornalista siciliano e saggista, ecopacifista e antimafia.

 

Hai una lunga militanza nelle battaglie per rendere più vivibile questa terra: antimafia, No Ponte, NO Muos, per la dignità dei migranti: quale nesso senti fra di esse?

L’antimafia sociale, il rifiuto della guerra e della militarizzazione del territorio, la difesa dell’ambiente e dei diritti umani pongono le persone al primo posto, il rispetto della vita, la giustizia. I movimenti che interpretano le azioni e gli interventi di lotta contro i processi e le entità che puntano a disgregare, disarticolare, minare l’integrità degli esseri umani e le loro relazioni con la natura e i territori hanno la capacità di cogliere gli inestricabili nessi tra il locale e il globale, come ogni crimine perpetrato in uno sperduto centro periferico si ripercuota contro l’equilibrio planetario. Generando infinite catene di violenza, conflitti, cataclismi ambientali, distruzioni, morte, migrazioni forzate. Radicandosi nei territori e mettendosi in rete superando gli angusti confini nazionali, i movimenti pacifisti, ambientalisti, antirazzisti e antineoliberisti si trasformano in soggetto politico sociale capace di proporre alternative concrete ai modelli economici dominanti profondamente autoritari ed eco-insostenibili, e di promuovere processi di partecipazione e democrazia dal basso.     

 

Come è iniziato il tuo percorso che intreccia militanza e giornalismo? E cosa ti ha spinto alla candidatura alle recenti elezioni europee?

Scrivere è stato da sempre per me un modo di sperimentare ulteriori modalità di praticare la politica. una possibilità di offrire spunti di riflessione, dati, denunce che stimolassero il dibattito all’interno dei movimenti di lotta. Una scrittura e un giornalismo apertamente di parte, mai neutrale, perché la neutralità non esiste. O si sta dalla parte di chi ogni giorno viene privato dal potere dominante dei propri diritti umani, sociali, economici, civili, o si sta con il potere e i suoi strumenti di dominio e di controllo. Poi a un tratto senti che non puoi tirarti da parte dal dover mettere il tuo volto e il tuo corpo in un appuntamento politico-elettorale determinante per difendere gli ultimi spazi di agibilità democratica e speranza e allora “congeli” per un paio di mesi militanza nei movimenti e giornalismo d’inchiesta e giri la Sicilia per parlare di guerre, ingiustizie e politiche di austerità. Tentando in tutti i modi di non perdere umanità e la misura delle cose. Oggi posso dire di sentirmi soddisfatto per come è andata questa campagna elettorale. Un’esperienza che mi ha permesso di conoscere un’altra Sicilia, tra tanta disperazione e ingiustizia ma anche tra tanta voglia di esistere e resistere.

 

Parli della Sicilia sacrificata a logiche che la sovrastano e la mortificano: ce le puoi descrivere?

C’è come un progetto-disegno del capitale finanziario transnazionale e del complesso militare-industriale per la Sicilia: quello di farne per il futuro un’Isola portaerei per sferrare a livello globale attacchi e distruzioni a suon di droni e cacciabombardieri a capacità nucleare e dove contenere allo stesso tempo parte dei flussi migratori mediterranei imponendo prigioni-lager dove detenere migranti e richiedenti asilo perché non “invadano” il continente europeo e paghino il loro “peccato” di non volersi sottomettere silenziosamente ai processi di sfruttamento del lavoro e delle risorse naturali nei paesi d’origine. Un modello di guerra globale e permanente che non potrà avere che effetti devastanti sulla società, le libertà individuali e collettive, l’economia, l’occupazione, l’ambiente e il territorio e contro cui ogni siciliano ha il diritto-dovere di opporsi senza se e senza ma. Subito.

 

Quali evoluzioni intravedi a breve e lungo periodo per la militarizzazione del MUOS e per gli sbarchi dei migranti? 

Il MUOS è solo uno degli strumenti di morte planetaria che il dispositivo militare transnazionale sta realizzando in Sicilia. Il processo di militarizzazione si sta sviluppando nell’Isola a una velocità impressionante: Sigonella sta per essere trasformata nella “capitale mondiale dei droni” delle forze armate Usa, Nato, Ue e nazionali; gli scali aerei di Trapani Birgi, Pantelleria e Lampedusa sono sempre più impegnati in chiave bellica, alcuni dei maggiori porti (Augusta, Messina, Catania, Palermo) ospitano unità da guerra Nato ed extra-Nato alcune a capacità e propulsione nucleare, ampie fette di territorio di straordinaria bellezza paesaggistica vengono sacrificate per ospitare poligoni di tiro ed esercitazioni militari. A ciò si aggiunge l’ulteriore spinta alla militarizzazione generata dalla guerra ai migranti e alle migrazioni che Bruxelles, l’agenzia Ue Frontex e il governo italiano ha scatenato nel Mediterraneo (vedi ad esempio l’Operazione Mare Nostrum), in cui la Sicilia ha un ruolo geostrategico determinante.

 

E di fronte al rafforzarsi dell’estrema destra in Europa, alla paura e al rifiuto dell’altro percepito sempre come una minaccia e vissuto come capro espiatorio, cosa pensi ci sia da fare? 

L’espansione di movimenti neo e postfascisti, demagogici e populisti è lo specchio di una crisi sociopolitica e culturale che attraversa l’intero continente europeo, crisi fomentata dalle banche e dai principali organismi comunitari, da cui essi stessi vorrebbero “uscirne” con la guerra, una guerra in Europa contro i ceti più popolari, fuori dall’Europa contro stati e governi non allineati. Contro tutto questo bisogna ripartire dal basso, costruendo sinergie e reti tra movimenti sociali, organizzazioni politiche della sinistra radicale, il volontariato attivo, l’associazionismo e il sindacalismo dal basso, dove la pace con giustizia sia l’obiettivo-utopia fondante. Un compito arduo, direi quasi impossibile, ma da cui dipende la sorte e l’esistenza stessa di questo continente e delle persone che lo abitano.

 

Quali soggetti sociali vedi oggi capaci di leggere questi processi (dal razzismo, alla violenza, dall’ideologia della sicurezza, alla militarizzazione) e di contrastarli o reinterpretarli?

Sono quelli che elencavo prima: movimenti sociali (i No Tav, i No Ponte, i No Dal Molin, i No MUOS solo per restare in Italia, ad esempio), le associazioni e i sindacati di base, le forze politiche della sinistra radicale e antineoliberista, le forze sane del volontariato sociale, ambientalisti, pacifisti, antimilitaristi, libertari. Essi reinterpretano già i territori con le loro lotte, abbattono steccati, realizzano reti, si contaminano e contaminano. Sono coloro che ci consentono di continuare a credere che Un altro mondo è ancora possibile. A percorrere cammini di speranza, libertà e giustizia. Senza pericolose deleghe o protagonismi individuali. Soggetti plurali e collettivi dove la democrazia diviene pratica e non mera enunciazione. Dove abbiamo tutti il dovere di starci. Insieme.  

 
Intervista a cura di Sara Ongaro, pubblicata in Le Solide Utopie, Modica, giugno-luglio 2014

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