Il Ponte sullo stretto, emblema glocal per la mafia

Il giornalista Tonino Cafeo intervista Antonio Mazzeo autore de "I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina", Alegre Edizioni, Roma.

Sono passati  appena sei mesi dall'avvio dei lavori propedeutici al ponte sullo Stretto di Messina - a Cannitello di Villa San Giovanni - e la n'drangheta non ha perso tempo a marcare il proprio territorio dando alle fiamme macchinari e attrezzature del primo cantiere.  La costruzione della megaopera entra così, almeno nelle intenzioni del governo Berlusconi, nel vivo e  le preoccupazioni per il suo impatto criminale diventano urgenti come non sono mai state. Già nei primi anni 2000 il rapporto NOMOS - gruppo Abele aveva sottolineato la pericolosità delle mafie e il loro interesse per cantieri e grandi opere. Chi si oppone al Ponte oggi ha perciò bisogno di strumenti  di analisi aggiornati e approfonditi. Come il recentissimo lavoro che Antonio Mazzeo, militante ecopacifista non nuovo a inchieste sulla penetrazione delle mafie nel tessuto economico-sociale del meridione, ha dedicato alla questione. “I padrini del ponte”, pubblicato dalle edizioni Alegre.
Gli Altri ha incontrato Mazzeo per fare il punto della situazione.
Il tuo lavoro traccia un quadro allarmante: mafie internazionalizzate perfettamente in grado di mettere le mani su grandi cantieri. Da dove sei partito?
R:  La ricerca parte dal rapporto NOMOS. Una relazione tutto sommato riduttiva, nonostante il quadro drammatico che delineava.  Le statistiche dicono infatti  che quasi la metà delle opere complementari al Ponte è a rischio altissimo di infiltrazione mafiosa (anche perché storicamente, gran parte degli interventi realizzati nell'area dello Stretto  sistematicamente sono stati gestiti dalle ndrine).
Il rapporto Nomos  non teneva conto del salto di qualità che fin dagli anni ’70 hanno fatto Cosa nostra e le altre mafie. Cosa nostra è in borsa, ha dato l’assalto ai pacchetti azionari di grandi società.  Le 'ndrine di Africo - ad esempio - si sono sviluppate nel controllo delle attività economiche legate all'Università di Messina, su questo punto la documentazione è ampia. Le  principali inchieste confermano un quadro in cui le mafie transnazionali si sono strutturate e riorganizzate per essere in grado di partecipare non solo alla realizzazione di opere secondarie ma direttamente del manufatto in se. L’impianto dell’inchiesta “Brooklyn” – che è una delle fonti più importanti del libro – dimostra che le organizzazioni criminali nordamericane erano perfettamente in grado di mettere sul piatto esattamente quella quota di finanziamento privato che il general contractor dovrebbe ricercare sul mercato ma che, oggettivamente, non si riesce a reperire, perché nessun gruppo finanziario, nessuna grande banca finora ha voluto rischiare nel sostegno ad un opera così dubbia. Cosa nostra si è proposta come elemento fondamentale nel finanziamento della parte privata dell’opera.
D.    Quindi c’è molto di più di una mafia che si limita a farsi pagare il pizzo ed a personaggi improbabili come L'ingegnere Zappia
Il modo con cui i grandi media hanno trattato queste inchieste è sconfortante: quasi un carnevale abitato da personaggi al limite del folklore. Le cose non stanno propriamente così. L’italo-canadese ingegner Zappia ha una lunga esperienza nel campo delle grandi opere. Ha partecipato, tra l’altro, alla realizzazione degli impianti utilizzati per le Olimpiadi di Montreal del ’76. Ha soprattutto realizzato opere strategiche in medio oriente come le basi USA in vista della prima guerra del Golfo. Un personaggio, perciò, tutt’altro che secondario. Sarebbe bastato non fermarsi alla superficie per rendersi conto che i materiali dell’inchiesta parlano di un’operazione seria.
Zappia non partecipa alla gara per il general contractor con l’obiettivo di vincere. Sa di non avere speranze. A lui importa  promuoversi presso  la società  Stretto di Messina, le principali società di costruzione e il  governo. Utilizza  la gara per presentarsi come il  trait d’union con quel pezzo di mercato incapace di trovare da se i capitali necessari alla realizzazione della grande opera.
La mafia ha perciò capacità non solo di presidiare il territorio ma agisce su scala globale. Nell’area dello stretto prende forma un nuovo modello di economia criminale?
Si, il ponte ha un grande valore simbolico perché è un vero emblema del glocal. Un modello cioè tipico dei rapporti economici e sociali nell’era della globalizzazione liberista. Contemporaneamente crea e ristruttura le economie e le gerarchie sociali a livello locale. Ha bisogno del consenso e lo genera. Interviene su un territorio particolare con opere che ne modificano il volto. L’area dello stretto poi da decenni è un laboratorio in cui la borghesia mafiosa non da oggi ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo di traffici di droghe e armi. A Messina si sono sviluppati più che altrove intrecci fra eversione nera, criminalità e pezzi delle istituzioni (la presenza di Gladio, le numerose logge massoniche deviate o meno, il ruolo dei servizi) e soprattutto cosche che hanno saputo affermarsi a livello internazionale. Le 'ndrine di Africo e quei clan di Barcellona Pozzo di Gotto che hanno avuto un ruolo - lo dicono le inchieste più recenti - anche nella stagione stragista del 92 93 anche grazie alle trame che si sono sviluppate fin dagli anni 70.
Ma perché alla mafia interessa il ponte di Messina?
Non solo e non tanto per intercettare un enorme massa di capitali - basti pensare che il ponte costerà dai dieci mld di euro in su - che verranno investiti in un area di pochi chilometri quadrati. C'è in tutta evidenza una sproporzione enorme fra le risorse investite e il territorio. Una grande operazione di riciclaggio ma non solo quello. L’obiettivo decisivo delle cosche – a mio avviso - sta nell’enorme valore simbolico dell’opera. Le mafie hanno colto appelli, messaggi politici provenienti da settori imprenditoriali, dal governo perché sanno che il ponte è un pezzo di storia e gioca un ruolo importante nel consolidare il consenso per chi lo realizza. Una operazione d’immagine grandiosa, che avviene a 15 anni dalla stagione dello stragismo dei corleonesi, anni in cui la mafia perse consensi significativi  e dopo i quali tornò a immergersi nella cura silenziosa dei propri affari.
C’è un passaggio di un’intercettazione molto chiaro in tal senso. Zappia dice tranquillamente al suo interlocutore che se riuscirà a fare il ponte farà tornare don Vito Rizzuto. Uno dei personaggi –chiave dell’internazionalizzazione di Cosa  Nostra.
Il rapporto mafia-stato : una costante della storia d’Italia. Ora si manifesta nel modello di sviluppo fondato sulla gestione verticale delle grandi opere come dei disastri. Un ulteriore pericolo per la democrazia?
Il ponte ha già sottratto democrazia. Basti pensare che nell’area dello stretto non c'è mai stato un dibattito sul modello dei trasporti, sullo sviluppo autocentrato incentrato sui bisogni reali delle popolazioni e sull'uso responsabile delle risorse naturali. Un aspetto fondamentale della questione è quello dell'informazione. Il principale quotidiano  messinese  non è solo un megafono del Ponte ma “è” il ponte, nel senso che fra i suoi  maggiori azionisti vi sono aziende come  il gruppo Pesenti che  da decenni hanno la grande opera fra i propri obiettivi strategici. La conseguenza è stata che si è impedito il dibattito pubblico, non solo riguardo alle alternative all'attraversamento stabile dello stretto di Messina ma persino sulle diverse modalità della sua realizzazione. C'è un problema grosso di democrazia anche sul versante legislativo. Le relazioni della commissione antimafia definiscono la Legge Obiettivo “criminogena” perché  fa saltare tutti  i meccanismi di controllo consentendo al General Contractor di fare ciò che vuole in violazione di normative di garanzia su appalti e subappalti che sono costate anche sangue (pensiamo a Pio la Torre). Un altro aspetto della crisi democratica  a cui stiamo assistendo già oggi, prima che siano aperti i cantieri, consiste nel fatto che i nopontisti siano sottoposti  a controlli sistematici, con schedature, filmati, fotografie, che oggettivamente si configurano come violazione dei diritti umani. E’ evidente che si punta alla loro delegittimazione e all'isolamento di fronte i possibili interlocutori politici e sociali. Immaginiamo cosa potrebbe succedere al momento dell'apertura dei cantieri. Temo che quando inizieranno perforazioni e sondaggi certamente il territorio verrà militarizzato col pretesto della necessità di prevenire le infiltrazioni mafiose. Infatti alle denunce pesantissime della direzione investigativa antimafia, di pezzi della magistratura e persino dei servizi segreti, che affermano che al banchetto del ponte ci si prepara da trent'anni almeno,  si risponde sistematicamente  dicendo che ”manderemo i soldati”. Un operazione  efficace sul piano dell'immagine ma totalmente prove di risultati concreti, dal momento che è dimostrato  che la mafia convive benissimo persino con le basi Nato. Il rischio vero è che l'impatto criminale venga strumentalizzato esclusivamente per reprimere l'opposizione sociale e politica al Ponte che si sta preparando a tornare in piazza contro i cantieri.

Intervista pubblicata il 18 giugno 2010 sul settimanale "Gli Altri".

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