Somalia, la guerra prossima ventura

Ultimo colpo di coda dell’amministrazione Bush. Lo scorso 11 dicembre, l’ambasciatore USA alle Nazioni Unite ha presentato ai paesi membri del Consiglio di Sicurezza una proposta di risoluzione per autorizzare le forze militari internazionali a “prendere tutte le misure necessarie a contrastare la pirateria all’interno del territorio della Somalia”. La proposta, cioè, estenderebbe le odierne operazioni anti-pirateria dalle acque nazionali somale alla terraferma.

Secondo quanto dichiarato dal portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormarck, la necessità di ampliare le opzioni d’intervento militare trova giustificazione nel fatto che “i pirati arrivano da terra” e che pertanto è nel territorio della Somalia che deve essere “centralizzata l’attenzione della comunità internazionale”. Nello specifico, Washington punterebbe alla dislocazione nel paese africano di una forza multinazionale di “peacekeeping”, ovviamente sotto il comando USA, da completare subito dopo il ritiro dalla Somalia del contingente a guida etiope, previsto entro la fine dell’anno.
 
La risoluzione che legittimerà il piano d’invasione statunitense sarà discussa martedì 16 dicembre in occasione di una speciale sessione ONU sulla crisi somala, a cui sarà presente la Segretaria di Stato, uscente, Condoleezza Rice. L’esito del voto del Consiglio di Sicurezza non è scontato. Sud Africa e Indonesia non condividono pienamente le finalità di una missione che viola sostanzialmente la sovranità nazionale del paese africano. Forte preoccupazione desta poi l’assenza nella bozza di risoluzione di una lista di pre-condizioni che specifichino come e quando le forze occupanti siano autorizzate all’uso della forza contro i “pirati”. Sarebbero pure indeterminate le regole d’ingaggio, esattamente come accaduto con la risoluzione n. 1838 del 7 ottobre 2008 con cui le Nazioni Unite hanno dato il via all’escalation aero-navale nelle acque Golfo di Aden e nel Mar Rosso.
 
Robert Gates, riconfermato da Barack Obama alla guida del Dipartimento della Difesa, confermando l’intenzione dell’amministrazione USA di attaccare i pirati nelle loro basi terrestri ha tuttavia dichiarato che prima sarà necessario un lavoro d’intelligence per raccogliere le informazioni utili ad intervenire in Somalia. “Con il livello informativo in nostro possesso, oggi non siamo in grado di eseguire un attacco terrestre”, ha dichiarato Gates. “Se noi identificheremo chi sono questi clan che guidano la pirateria, potremo poi operare a terra sotto gli auspici delle Nazioni Unite, cercando di minimizzare i danni collaterali”. Il bombardamento di obiettivi civili rientra pertanto tra le opzioni strategiche elaborate dal Pentagono.
 
 
Protagonismo italiano nei piani di guerra USA
 
Al programma d’intelligence preannunciato dal Segretario alla Difesa, parteciperanno alcuni dei reparti d’élite USA ospitati in Italia, primo fra tutti il “Joint Task Force JTF Aztec Silence”, la forza di pronto intervento e conduzione di missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR) istituita a Sigonella (Sicilia). Ad “Aztec Silence” sono stati assegnati gli aerei radar P-3C Orion di tre squadroni di pattugliamento aeronavale della Marina statunitense; sono gli stessi velivoli che alla vigilia dell’attacco di Stati Uniti ed Etiopia contro le Corti islamiche somale del gennaio 2007, furono utilizzati per individuare i possibili obiettivi nemici e predisporre i piani per l’offensiva aerea e terrestre. Agli Orion potrebbero essere aggiunti pure i sofisticati velivoli senza pilota “Global Hawk”, la cui installazione a Sigonella è stata segretamente autorizzata - la scorsa primavera - dal governo italiano.
 
Nel caso di un conflitto in Somalia, un ruolo strategico determinante sarà assunto dai due sottocomandi AFRICOM (il comando per le operazioni in Africa degli Stati Uniti d’America), già attivati in Italia: NAVEUR NAVAF a Napoli, per la direzione di tutte le attività navali nel continente; US Army Africa a Vicenza, per il coordinamento degli interventi delle truppe terrestri. Un eventuale attacco anti-pirati in territorio somalo avrà poi come protagonista la 173^ Brigata Aviotrasportata USA con sede a Camp Ederle (Vicenza), già utilizzato in complesse azioni di guerra in Afghanistan ed Iraq.
 
C’è però già un ruolo diretto dell’Italia nello scacchiere somalo. La forza navale NATO schierata nelle acque territoriali del paese africano per prevenire (inutilmente) i sequestri di navi cargo è sotto il comando dell’ammiraglio italiano Giovanni Gumiero. E tra le cinque unità che compongono la flotta dell’Alleanza Atlantica c’è pure il cacciatorpediniere italiano “Durand de la Penne”, dotato di sofisticati sistemi lanciamissili e cannoni navali. Le unità hanno un mandato in bianco delle Nazioni Unite per impedire, “con ogni mezzo”, l’azione dei pirati.
 
Altre sei navi da guerra sono state schierate nelle acque somale dagli Stati Uniti d’America. Ci sono poi fregate canadesi, russe, indiane, pachistane, keniane e di alcuni emirati arabi. L’Unione Europea ha attivato una speciale task force (nome in codice, “Atalanta”), con 6 unità navali, 3 aeri-spia e 1.000 marines di nove paesi membri. Una potenza di fuoco senza precedenti nelle acque del Golfo di Aden, a cui è doveroso aggiungere i circa 2.000 militari di aeronautica, esercito, marina e Corpo dei Marines presenti nella base di Camp Lemonier, Gibuti, la maggiore delle infrastrutture militari realizzate da Washington nel continente africano.
 
 
Le agenzie dei pirati operano nel cuore dell’Europa
 
Le lezioni dell’Afghanistan e dell’Iraq devono aver lasciato un segno profondo se i più alti gradi delle forze armate USA non nascondono i loro dubbio sulle possibilità di successo della lotta terrestre anti-pirati. Qualche giorno prima che la Segreteria di Stato presentasse alle Nazioni Unite la risoluzione per autorizzare l’intervento militare in territorio somalo, il viceammiraglio Bill Gortney, comandante della 5^ Flotta US Navy con sede in Bahrein, ha posto l’accento su alcune questioni di “difficile soluzione” nel caso di un combattimento sul campo. “In un paese come la Somalia, dove non esiste la legge, esiste un forte rischio per qualsiasi delle forze USA che verrà coinvolta, sia che si tratti di un piccolo commando di un’unità operativa di maggiori dimensioni”, ha spiegato Gortney. “È già difficile l’identificazione dei pirati quando le loro azioni si svolgono in mare, dato che le navi utilizzate non sono facilmente distinguibili dai pescherecci. La possibilità di uccidere civili innocenti non può essere sottostimata…”.
 
Tra le forze armate c’è pure chi non condivide l’equazione “pirati = forze insorgenti = Al Qaeda”, fatta dall’amministrazione Bush. Non sarebbe stato ancora provato qualsivoglia legame tra le bande che assaltano petroliere e navi da crociera e il gruppo islamico “al-Shabab” che controlla buona parte del territorio somalo. Il 25 novembre 2008, lo stesso comandante di Africom, generale William “Kip” Ward, ha dichiarato alla stampa che “quanto a un eventuale legame dei pirati con Al Qaida, si tratta di una preoccupazione condivisa da tutti, ma della quale non vi è alcuna prova”.
 
Stati Uniti d’America, alleati europei ed africani, le agenzie delle Nazioni Unite che più spingono per un intervento militare in Somalia, sembrano proprio non capire le ragioni politiche, sociali ed economiche che si celano dietro il complesso fenomeno della pirateria in Corno d’Africa. Proprio come nel caso della cosiddetta “lotta alla droga”, si preferisce bombardare villaggi e comunità lasciando impuniti i grandi cartelli che investono nei mercati finanziari i profitti delle attività illegali. Un recentissimo rapporto dell’unità contro-terrorismo del comando della 5^ Flotta US Navy del Bahrein – rivelato dalla stampa araba - sosterrebbe che i pirati somali si appoggiano su una rete logistica, finanziaria e d’intelligence presente in Golfo Persico, Africa Orientale ed Europa.

A capo delle operazioni di riciclaggio del denaro proveniente dai sequestri delle navi, ci sarebbe una specie di “ufficio centrale” con sede ad Abu Dhabi ed “agenzie” a Mombasa (Kenya), Pireo (Grecia), Rotterdam (Olanda) e Napoli (Italia). In queste città portuali, “agenti coperti” seguirebbero le attività delle agenzie di navigazione, per poi informare i pirati sul valore del carico dei mercantili diretti nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso.
 
Abu Dhabi, Kenya, Grecia, Olanda e Italia sono alleati di fiducia degli Stati Uniti d’America ed hanno inviato unità di guerra per combattere la pirateria navale in Somalia. Può essere che non riescano a far di meglio a casa loro?

Articolo pubblicato in Agoravox.it il 15 dicembre 2008

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