Nuovo allarme della DIA sugli interessi della mafia del Ponte

Denaro del narcotraffico per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. L'ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia punta nuovamente l'indice sugli interessi di 'ndrangheta e Cosa nostra nella megaopera. Dal 1998 inquirenti e servizi segreti avvertono sui rischi d'infiltrazione criminale. Qualche mese fa i primi arresti di boss e faccendieri.

“La mafia è pronta a investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”. Notizia certamente non nuova; stavolta però a rilanciare l’allarme è la relazione semestrale sull’attività della Dia, la Direzione Distrettuale Antimafia, trasmessa dal ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu al Parlamento.

"Le difficoltà nel ricomporre integralmente i contrasti interni - si legge nel documento di 99 pagine della Dia - non sono d’impedimento al prosieguo dell’opera di contaminazione dell’ambiente economico ed imprenditoriale da parte di Cosa nostra", sempre più impegnata anzi "a rafforzare la propria maglia invasiva con interventi volti a tentare di interferire anche sulla realizzazione di grandi opere di interesse strategico nazionale, quale ad esempio il Ponte sullo Stretto".

Nello specifico, le indagini avrebbero accertato che "ingenti capitali illecitamente acquisiti da un’organizzazione mafiosa a carattere transnazionale sarebbero stati reinvestiti nella realizzazione di importanti opere pubbliche, con particolare riguardo a quelle finalizzate alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina".

Sette anni di denunce

Il primo allarme degli inquirenti sugli interessi delle organizzazioni mafiose nella realizzazione dell’infrastruttura fu ripreso in un comunicato Ansa del 22 aprile 1998: “La Dia è preoccupata dalla grande attenzione della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra per il progetto relativo alla realizzazione del Ponte sullo Stretto”. “Appare chiaro – aggiungeva la Direzione Investigativa Antimafia – che si tratta di interessi tali da giustificare uno sforzo inteso a sottrarre il più possibile l’area della provincia di Messina all’attenzione degli organismi giudiziari ed investigativi”.

La Dia tornava sull’argomento, con una più approfondita valutazione, nella sua seconda relazione semestrale per l’anno 2000. Soffermandosi sulla ristrutturazione territoriale dei poteri criminali in Calabria e in Sicilia, si segnalava come le ultime indagini avessero evidenziato che “le famiglie di vertice della ‘ndrangheta si sarebbero già da tempo attivate per addivenire ad una composizione degli opposti interessi che, superando le tradizionali rivalità, consenta di poter aggredire con maggiore efficacia le enormi capacità di spesa di cui le amministrazioni calabresi usufruiranno nel corso dei prossimi anni”. Nel mirino delle cosche, secondo la Dia, innanzi tutto i progetti di sviluppo da finanziare con i contributi comunitari previsti dal piano “Agenda 2000“ per il Mezzogiorno, stimati per la sola provincia di Reggio Calabria in oltre cinque miliardi di euro nel periodo 2000-2006.

“Altro terreno fertile ai fini della realizzazione di infiltrazioni mafiose nell’economia legale – aggiungeva il rapporto della Dia - è rappresentato dal progetto di realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, al quale sembrerebbero interessate sia le cosche siciliane che calabresi. Sul punto è possibile ipotizzare l’esistenza di intese fra Cosa nostra e ‘ndrangheta ai fini di una più efficace divisione dei potenziali profitti”.

La nuova intesa ‘ndrangheta-Cosa nostra

La Direzione Investigativa Antimafia aggiungeva ulteriori tasselli con i due rapporti semestrali dell’anno 2001. Riferendosi alla nuova struttura della ‘ndrangheta sorta dopo le guerre tra le cosche degli ultimi decenni, se ne denunciava “l’acquisizione di ingenti introiti finanziari in grado di sviluppare, accanto ai tradizionali business, attività di natura imprenditoriale, apparentemente lecite, che si presentano a costituire veicoli d’infiltrazione della malavita all’interno del sistema economico”. “Una siffatta strategia della ‘ndrangheta – proseguiva il rapporto - è quanto mai allarmante, soprattutto nell’attuale fase di sviluppo calabrese, nella quale al sistema imprenditoriale privato sono attribuite grandi responsabilità per il progresso dell’economia regionale, soprattutto nel quadro dei cospicui contributi comunitari per il piano pluriennale ‘Agenda 2000’ e con quelli, pure prossimi, relativi alla realizzazione del Ponte di Messina”.

A questa infrastruttura, la Dia dedicava un passaggio chiave: “Le prospettive di guadagno che ne deriveranno non potranno non interessare le principali famiglie mafiose operanti in Calabria. Inoltre l’entità degli interessi per la costruzione del Ponte e la particolarità dell’opera, sono tali da far ritenere possibile un’intesa tra le famiglie reggine e Cosa nostra, in vista di una gestione non conflittuale delle opportunità di profitto che ne deriveranno”.

I servizi segreti e la mafia del Ponte

Sul Ponte sullo Stretto si soffermava la ‘Relazione sulla politica informativa e della sicurezza’ presentata nel 2001 dal Ministro per la funzione pubblica e per il coordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza, Franco Frattini.

Puntando il dito contro il rafforzamento eversivo delle organizzazioni criminali in Calabria, la Relazione affermava: “Le `ndrine, attente a scoraggiare forme di collaborazione con la giustizia, restano particolarmente impegnate nel traffico di stupefacenti ed armi e continuano ad evidenziare l’intento di inserirsi nelle attività imprenditoriali e negli appalti di grandi lavori. Sotto questo profilo, particolare vigilanza sarà esercitata sugli ingenti investimenti previsti per la realizzazione di importanti opere pubbliche - come il progetto del ponte sullo Stretto di Messina - sia per quanto concerne programmi a lungo termine sia per gli interventi a medio termine nel campo dei trasporti a delle infrastrutture”.

Alle ipotesi dei Servizi segreti facevano seguito le dichiarazioni di due tra i maggiori rappresentanti degli organi giudiziari dello Stretto, l’ex procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Salvatore Boemi, e il procuratore capo di Messina, Luigi Croce.

Salvatore Boemi, nel corso dello speciale sul Ponte della trasmissione ‘Sciuscià’ di Michele Santoro, dichiarava nel febbraio 2001: “Il Ponte è il grande affare del terzo millennio per Sicilia e Calabria: se non se ne interessa la mafia, ne sarei sorpreso”. "Il ponte sullo Stretto lo vogliono tutti, sarà un affare da 15 mila miliardi", spiegava poi il dottor Boemi al giornalista Mario Portanova in un’intervista al “Diario” nell’aprile dello stesso anno.

Dall’altra parte dello Stretto, gli faceva eco il Procuratore capo della Repubblica di Messina, Luigi Croce. Nel corso di un convegno organizzato dalla locale Associazione antiusura, il magistrato, nel denunciare i “contrastanti ed inquietanti” segnali inviati alla città dal mondo criminale, affermava: “È forse all’orizzonte, in vista anche della possibile costruzione del Ponte, un’alleanza ancor più stretta tra Cosa Nostra e `ndrangheta che passa per la città dello Stretto, per cui la crisi delle organizzazioni locali potrebbe semplicemente aprire la strada a un’invasione da parte delle organizzazioni mafiose esogene”.

Il “modello comportamentale” per la gestione dell’affare

Nel luglio 2002 era il magistrato Alberto Cisterna, sostituto della Direzione Nazionale Antimafia, a soffermarsi sugli interessi della criminalità organizzata nella realizzazione del Ponte. “Esistono elementi concreti sotto il profilo investigativo per affermare che la ‘ndrangheta si sta preparando ad approfittare dell’affare miliardario costituito dalla realizzazione del Ponte sullo Stretto”, dichiarava Cisterna. “Molte cosche calabresi starebbero per entrare in cordate di impresa che potranno avere parte negli appalti al momento in cui saranno chiamate dal General Contractor. Queste potrebbero comprare o entrare in società pulite già costituite nel Centronord e in particolar modo nei grandi distretti industriali del nord Italia. Un modello comportamentale aggiornato alle esigenze di una grande opera infrastrutturale, che porterà le cosche a trovare un accordo per guadagnare tutte del grande affare”.

Alberto Cisterna delineava il possibile scenario: “Le cosche più forti imporranno un ‘pizzo’ minimo alle famiglie della ‘ndrangheta che vengono da fuori provincia, facendo pagare il 3% e non il 5% come avviene adesso. Ma non sarà soltanto il settore del cemento armato, dei prodotti edili e dei trasporti, dove la ‘ndrangheta è tradizionalmente forte, ad appetire le cosche. Penso che tutto l’indotto farà gola alla ‘ndrangheta: il catering per gli operai, gli alloggi, i trasporti sui cantieri e tutte le forniture che non sono oggetto di appalto: il cemento, il cibo, il ferro”.

L’“attento monitoraggio” degli 007

I Servizi segreti tornavano a lanciare l’allarme “Mafia del Ponte” nel 2002, stavolta attraverso la “Relazione sulla politica informativa e della sicurezza”, presentata al Parlamento dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta. Ancora una volta è la ‘ndrangheta ad essere al centro delle “attenzioni”: “Grazie alle capacità strategiche dei capi carismatici, alle elevate doti di mimetizzazione e all’abilità nella gestione dei capitali di provenienza illecita e nell’infiltrazione di imprese impegnate nella realizzazione di opere viarie, la ‘ndrangheta ha evidenziato crescente dinamismo nei tentativi di contaminazione dei processi economico-imprenditoriali relativi ai cd. “grandi lavori”. In tale quadro è stata rilevata, tra l’altro, una convergenza di interessi con le cosche siciliane in vista della possibile intercettazione dei flussi finanziari destinati alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina”.

Il dado era tratto e le Procure di Reggio Calabria e Messina, in collaborazione con la Direzione Nazionale Antimafia, avviavano lo stesso anno un ``attento monitoraggio`` sulle opere collaterali alla realizzazione del ponte: strade, ferrovie, motel, centri congressi e quant’altro. A sovraintendere il “pool-Ponte”, l’allora procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna, che in più di un’occasione avvertiva sui tentativi di infiltrazione mafiosa nella gestione degli appalti. "La mafia è interessata alla realizzazione del ponte sullo Stretto”, dichiarava Vigna. “Sappiamo da indagini della Dia che Cosa Nostra e la `ndrangheta calabrese si sono già mosse per mettere le mani sulle commesse e sull’acquisizione dei terreni interessati dal progetto".

Ancora più esplicito il Procuratore capo di Messina, Luigi Croce, che in un’intervista al settimanale “D” (la Repubblica) affermava: “Il ponte è un business troppo grosso perfino per la criminalità organizzata, così le famiglie stanno concentrando la loro attenzione su alcune attività collaterali dove sono certe di ricavare il massimo profitto: espropri di terreni, sfruttamento di cave, controllo di cantieri, ecc.”. “Stiamo lavorando in più direzioni – aggiungeva Croce – per prima cosa sulle operazioni di compravendita dei terreni su cui si impianterà la struttura. Quando partiranno gli espropri chi si sarà accaparrato la proprietà di quei lotti avrà molto da guadagnare. Così come avrà molto da guadagnare chi in questi anni avrà acquistato le cave di sabbia da cui sarà estratto il materiale da costruzione. E poi ci saranno case e supermercati da costruire, negozi e grandi centri commerciali da realizzare per offrire i servizi collaterali alle grandi imprese del nord”.

Gli eversivi sono però gli ecologisti

Nonostante le gravi dichiarazioni delle Procure, l’infiltrazione mafiosa nella realizzazione del Ponte spariva dalle preoccupazioni degli uomini dei Servizi Segreti. Non c’è un solo accenno al tema nelle successive relazioni semestrali del Governo sulla Politica informativa e della sicurezza presentate al Parlamento nel biennio 2003-2004. Di contro sono gli attivisti del No-Ponte ad entrare nelle mire del Sisde. Nonostante la lotta all’infrastruttura sia stata sempre e assolutamente nonviolenta e nei rigidi binari della “legalità”, l’opposizione alle Grandi Opere viene analizzata e criminalizzata nel lungo capitolo sulla “minaccia eversiva interna”. “La descritta tendenza dell’antagonismo a muoversi in una dimensione locale – pur con qualche tentativo di proiezione a più ampio raggio – ha favorito l’attitudine delle frange oltranziste ad inserirsi nelle situazioni di fermento per innalzare i toni della contrapposizione”, si legge nella Relazione del 2003. “Emblematica la protesta di Acerra, rispetto alla quale il SISDE ha rilevato l’intenso attivismo delle principali aggregazioni estremiste della regione. Analogo trend si è evidenziato con riferimento alle iniziative contro le progettate "grandi opere", quali il ponte sullo Stretto, il terzo traforo del Gran Sasso e le infrastrutture per le Olimpiadi invernali del 2006 a Torino. Il SISDE ha inoltre raccolto indicazioni in ordine ai propositi dei settori più radicali, specie di matrice anarchica ed autonoma, di intraprendere atti di sabotaggio ai danni dei cantieri dell’Alta Velocità/Capacità TAV/TAC della tratta Torino-Lione”. È il ritorno alle veline degli Anni di Piombo.

Premiata ditta Rizzuto, Zappia & Company

Intanto però la mafia estende i suoi tentacoli sull’affare del secolo. Mentre il governo attraverso il suo ministro alle Infrastrutture invita cittadini ed imprese a “convivere” con le organizzazioni criminali, alcuni faccendieri d’oltreoceano lanciano l’assalto, per conto delle cosche, alla gara per il General Contractor. Il 12 febbraio 2005 la stampa internazionale pubblica la notizia dell’emissione di cinque provvedimenti di custodia cautelare per associazione per delinquere di stampo mafioso e delle perquisizioni in diverse città italiane, legate agli appetiti della mafia sul ponte sullo Stretto di Messina.

I provvedimenti venivano notificati al boss Vito Rizzuto, capo dell’organizzazione legata ai mafiosi Cuntrera-Caruana e sospettato di rappresentare in Canada la “famiglia” Bonanno di New York (detenuto a Montreal e in attesa di estradizione), all’ingegnere Giuseppe Zappia (arrestato a Roma dopo che si era barricato in casa) al broker Filippo Ranieri (di Lanciano in Abruzzo), all’imprenditore cingalese Savilingam Sivabavanandan (bloccato a Londra) e all’algerino Hakim Hammoudi (fermato a Parigi).

L’inchiesta coordinata dal capo della Dda di Roma Italo Ormanni e dal pm Adriano Iassillo, sulla base di numerose intercettazioni, avrebbe individuato così un’operazione concepita da Cosa nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga nella realizzazione del Ponte.

Zappia aveva capeggiato una cordata che aveva concorso alla gara per il General Contractor, avviata dalla Società Stretto di Messina il 14 aprile 2004, per la progettazione definitiva ed esecutiva e la realizzazione della megaopera.

Sei mesi più tardi, tuttavia, la “cordata Zappia” e un non precisato raggruppamento di aziende meridionali venivano escluse nella fase di pre-qualifica, perché non in possesso dei requisiti richiesti. Definitivamente sventata la scalata all’ecomostro tra Scilla e Cariddi? Stando alle ultime dichiarazioni della Direzione Investigativa Antimafia sembrerebbe proprio di no.

Articolo pubblicato in Terrelibere.org il 4 novembre 2005

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